plastificare i corpi

I don't want to sleep alone
di Tsai Ming-Liang
Francia/Taïwan, 2006
Produzione Bruno Pesery, Vincent Wang
1h58

Il formalismo e l'estetismo che Tsai Ming-Liang pericolosamente sfiorava con il mutismo dei suoi film precedenti vengono definivamente superati in I don't want to sleep alone nella prospettiva di un cinema rigoroso, meno spettacolare e più sobrio, più essenziale e più intenso. Le lentezza del ritmo qui non ha niente di vuoto, ma è carica di un peso estetico e politico che riempie la durata di uno spessore denso, cosi' denso che in I don't want to sleep alone si rischia di soffocare...

I don't want to sleep alone è il primo film che Tsai Ming-Liang ha girato in Malesia, il suo paese natale, dopo sette film realizzati in Taïwan, ed è forse qui la chiave del cambiamento di stile: quest'ultimo film è iscritto in modo molto più realistico nella società contemporanea e il mutismo dei personaggi non è mai un partito preso stilistico ma si contrappone alla caoticità delle scene di gruppo in cui il popolo chiacchiera a straparla come una maniera di essere, come una condizione sociale: solitudine, noia, difficoltà di comunicare, insuperabile differenza linguistica... E intanto il materasso scivola in silenzio sull'acqua rendendo finalmente possibile il passaggio dall'immobilità al movimento, dall'inerzia alla circolazione dgli oggetti, dalla solitudine allo scambio; l'apertura in I don't want to sleep alone è una scoperta di contiguità e non la prospettiva di un vero dialogo: i personaggi non saranno mai davvero insieme, scopriranno solo di essere vicini, topograficamente.

"Ne Il gusto dell'anguria, il "secco" era una bella idea. Improvvisamente l'acqua non colava più, chiusa e oggettivata nelle bottiglie di plastica. Cuori secchi, mondo senza altro amore che il sesso meccanico e feticista del porno e delle angurie. Segno di una trivializzazione della favola, in I don't want to sleep alone l'acqua cola di nuovo, senza pero' inondare. Tsai coniuga due stati: acqua corrente nell'edificio, acqua stagnante nel grande bacino che in una sola inquadratura riesce a trasformarsi in lago [...]. Resistere alla dittatura degli oggetti equivale a profanarne l'uso. Rawang ama bere bevande colorate da sacchetti di plastica; crede alla virtù miracolosa di una di esse e la alita con cura sulla fronte di Hsiao Kang. Verde, rosso... giallo: il burlesco vira verso l'escatologico quando Tsai si attarda sul sacchetto di plastica in cui si riversa l'urina dell'uomo in coma. I sacchetti di liquido suonano in minore la patizione musicale: forme e immagini di un mondo artificiale e feticista, sviate e lilanciate nella gioiosa cicolazione dei segni" (Cahiers du cinéma, n. 623, mai 2007, p. 41.)

La sensualità di Tsai Ming-Liang anche in questo film è fatta di carne, di sudore e di pelle ricoperti e curati da materie fredde: la sensualità naturale è superata da quella artificiale del mondo contemporaneo, che arriva a rivestire di plastica persino i visi e le bocche dei personaggi che tentano invano di fare l'amore, con delle mascherine, per non soffocare, poi le tolgono, per baciarsi, e, invece, finiscono per rinunciare. Si disegna cosi' il sogno di un'umanità di plastica, che cura il corpo di chi ama, tenta di salvalo dalla morte, cerca di preservarlo plastificandolo. È un possibile divenire dell'uomo, contro il pessimismo e contro ogni relativismo.

maria guidone