un amico un po' furbo

L'amico di famiglia
di Paolo Sorrentino
Italia, 2005
Medusa Home
Entertainment
1h50

La vicenda di Geremia "cuore d'oro", sarto-usuraio alle prese con un'umanità meschina quanto e più di lui nello scenario straniante dell’Agro Pontino, è in questo film di Sorrentino il pretesto per inanellare inquadrature preziose e stravaganti che precipitano rovinosamente nel formalismo estenuante, in uno stile barocco, enfatico, gonfio carico di orpelli estetizzani. Tra le luminosissime architetture fasciste vuote di Latina e Sabaudia e i buiie carichi interni fotografati da Luca Bigazzi, il giovane e promettente regista, con una certa presunzione, ripete in modo eccessivo simboli felliniani e moltiplica oggetti, segni, emblemi pescati nella sociologia della vita degli ultimi decenni della provincia italiana.
E anche la sceneggiatura pullula di passaggi strappapplauso, di frasi a effetto ("Siamo angeli rumorosi"), di sentenze memorabili (su tutte quella, programmatica, sibilata da Geremia a Rosalba: "Non confondere mai l’insolito con l’impossibile") che producono lo stesso effetto di saturazione nello stesso intervallo di tempo.

L'equilibrismo etico-narrativo di Sorrentino che cammina sul filo di un affascinante panorama urbano pone un problema enorme: viene da chiedere al regista: se la «bellezza» dell'anima può annidarsi anche nei recessi più ripugnanti della carne e del dolore umani, allora perché quella del cinema deve essere ricercata, pagata e sudata con virtuosismi funambolici e stucchevoli?! Perché al cinema, al contrario che nella vita che il film ci racconta, solo i "bravi" sono "belli"?! Insomma, perché Sorrentino sente questa necessità di sbalordire lo spettatore ad ogni inquadratura, di dimostare la propria bravura, la propria autorialità?! Le derive estetiche della questione sono importanti... soprattutto nel momento in cui lo scioglimento dell'intreccio rassicura lo spettatore con una chiusura didattica.

maria guidone